Il modello formativo

Il modello formativo

A partire dal presupposto che la relazione rappresenti lo strumento più rilevante per il cambiamento e che qualsiasi tecnica o procedura vada considerata un atto relazionale, la cui efficacia dipende dal contesto intersoggettivo nel quale viene calata e dai significati impliciti che passano fra paziente e terapeuta, l’azione formativa viene centrata su un “saper fare” che consegue al “saper essere” del terapeuta e non viceversa, ritenendo che anche il “sapere” sia prevalentemente acquisibile e integrabile attraverso l’agire e la riflessione sul proprio agire (Cionini, Ranfagni, 2009).

Per questa ragione alla base del processo formativo, al di là dell’addestramento alle procedure terapeutiche, viene considerata prioritaria la formazione personale degli allievi finalizzata a permettere una sufficiente consapevolezza di sé e delle proprie dinamiche affettivo-emotive che consenta di distinguere sé dall’altro nel processo e nella relazione terapeutica.

All’inizio del percorso formativo viene proposta soltanto una griglia d’insieme dei fondamenti epistemologici, teorici e metodologici del modello, per fornire un primo orientamento che permetta di iniziare a fare esperienza e imparare attraverso l’esperienza. Gli aspetti teorico-metodologici sono ripresi e sviluppati in momenti successivi quando, all’interno delle esercitazioni pratiche e della supervisione, l’allievo si trova concretamente ad affrontare le difficoltà inerenti il proprio modo di essere nel rivestire il ruolo professionale.

Nei primi due anni, per coniugare l’addestramento con la formazione personale, vengono strutturati diversi tipi di attività in cui ogni allievo possa provarsi – nella situazione di gruppo – a mettere in pratica le procedure utilizzate per la comprensione dell’altro e per la conduzione del processo terapeutico, rivestendo alternativamente il ruolo di “terapeuta” e quello di “paziente” con uno degli altri membri del gruppo. Questo lavoro è svolto talvolta in aula, talvolta in una stanza collegata all’aula tramite apparecchiature audio-video che permettono di vedere-sentire in diretta ciò che accade nella “seduta” e successivamente ridiscuterlo con l’apporto di tutti. Se necessario, parti della video-registrazione della seduta vengono rianalizzate in aula, così che sia il “terapeuta” sia il “paziente” possano rivedere i loro corpi in interazione e acquisire maggiore consapevolezza rispetto ai messaggi che implicitamente hanno trasmesso l’uno all’altro. Nel riconsiderare quanto è avvenuto nella “seduta”, l’attenzione è rivolta oltre che ai contenuti personali portati dall’allievo-paziente, soprattutto all’analisi delle scelte esplorative e della modalità di conduzione dell’allievo-terapeuta, a livello verbale e corporeo.

Affinché ogni allievo possa sentirsi libero di esporsi, di portare se stesso e alcune delle proprie problematiche all’interno del setting di gruppo, è essenziale che il gruppo stesso sia percepito come un contesto non giudicante, “comprensivo” e in grado di fornire sostegno nei momenti di maggiore difficoltà personale. Per questa ragione, almeno due volte l’anno, una giornata viene dedicata a un’attività di analisi delle dinamiche nel gruppo di formazione rispetto sia alle relazioni interpersonali che si sono strutturate fra gli allievi, e fra allievi e didatti, sia alle implicazioni dell’esperienza formativa sul piano personale. Una volta l’anno, inoltre, un intero week-end è organizzato in un contesto residenziale durante il quale (oltre a fare lezione) si vive, si mangia, si dorme tre giorni tutti insieme. Si tratta di un cambio di setting formativo che porta a un tipo di comunicazione e di scambi interpersonali diverso da quello delle normali occasioni d’incontro e che facilita un’ulteriore coesione del gruppo.

Dal terzo anno la maggior parte delle ore di formazione è dedicata alla supervisione delle psicoterapie iniziate dagli allievi nell’ambito del tirocinio o con pazienti che si sono rivolti alla Scuola richiedendo di accedere al Servizio di Psicoterapia a “costo agevolato”. Un primo obiettivo della supervisione è quello di aiutare l’allievo a costruirsi un’immagine globale del suo paziente, nonché del significato e della possibile funzione delle problematiche che questi ha portato nella richiesta di aiuto. La supervisione offre però anche nuove occasioni di lavoro sulla persona del terapeuta, nella misura in cui più che essere finalizzata alla valutazione della correttezza tecnica delle mosse impiegate, è dedicata principalmente ad aiutare l’allievo-terapeuta a comprendere il significato delle difficoltà incontrate in particolari momenti del processo che – tipicamente – hanno a che fare con alcune delle sue dimensioni personali.

La formazione personale in gruppo, pur essenziale, ha tuttavia anche alcuni limiti poiché comunque il gruppo deve mantenere le caratteristiche formative e non può trasformarsi in un setting terapeutico. Per tale ragione, si ritiene opportuno che ogni allievo effettui un percorso individuale per un minimo di 20 ore con uno psicoterapeuta “esperto” (che non può essere uno dei didatti del proprio gruppo di formazione). L’obiettivo è quello di fornire l’occasione per analizzare le tematiche personali, emerse nell’attività formativa e di supervisione, in un setting che permetta una maggiore “apertura” e possibilità di approfondimento rispetto a quello di gruppo. Sono però pochi gli allievi che si limitano a ottemperare a questo “obbligo”, poiché la maggior parte percepisce autonomamente l’utilità di una vera e propria psicoterapia, senza limiti di tempo, che consenta di acquisire una maggiore capacità e libertà di “essere” e “sentirsi” nella relazione con l’altro e nel rivestire il proprio ruolo professionale.

Tutta la formazione pratica è gestita da tre didatti che si alternano seguendo il gruppo dal primo al quarto anno e da un co-didatta (didatta in formazione) che è presente durante tutte le giornate di formazione pratica e conduce autonomamente anche alcune esercitazioni. Per la formazione teorica e i seminari si alternano invece docenti diversi in relazione alle loro specifiche competenze. La scelta di limitare a un numero ristretto le figure dei didatti della formazione pratica deriva dall’idea che sia preferibile proporre una modalità di lavoro tendenzialmente più unitaria (pur nelle ineliminabili differenze individuali) incoraggiando inizialmente gli allievi a “provarsi” all’interno di questa, per coniugarla e interpretarla successivamente in funzione delle proprie caratteristiche personali.[1]

[1] Per la bibliografia citata v. www.cesipc.it: L’approccio intersoggettivo/Riferimenti bibliografici.

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