I presupposti del costruttivismo e della fenomenologia privano il terapeuta della possibilità di utilizzare i criteri di giusto/sbagliato, vero/falso rispetto ai modi di sentire/pensare/agire del paziente e rendono improponibile l’idea che si possano offrire significati alternativi ”migliori” rispetto a quelli costruiti dal paziente. È quest’ultimo ad essere considerato “l’esperto di se stesso” mentre il terapeuta ha il compito di accompagnarlo alla scoperta di sé.
Verso un nuovo stato di equilibrio. I sintomi hanno un senso e una funzione
Il processo terapeutico si propone di promuovere un cambiamento accompagnando la persona nel conseguimento di un nuovo stato di equilibrio che non si limiti a una riduzione/eliminazione dei sintomi ma che coinvolga il modo di percepire se stessi e la propria relazione con gli altri.
Il fatto di non considerare il sintomo un “bersaglio diretto” del lavoro terapeutico deriva non soltanto dall’idea che un cambiamento esclusivamente sintomatico sia a rischio di non mantenersi nel tempo, ma soprattutto che la sintomatologia – pur nella sofferenza che comporta – svolga una funzione positiva e protettiva per l’equilibrio del sistema individuale e che rappresenti la modalità “migliore” che la persona è riuscita a costruire per mantenere integro il senso della propria identità.
La riduzione dei sintomi si verifica, in tempi decisamente più brevi dell’intero percorso terapeutico, già con i primi cambiamenti dell’equilibrio del sistema, in relazione a un minor bisogno della loro funzione protettiva.
La centralità della comprensione nel processo terapeutico
Per la valutazione clinica, il primo obiettivo del terapeuta è comprendere olisticamente il mondo dell’altro nella sua complessità e particolarità, così da poter giungere a quella che viene definita la “costruzione professionale” del paziente: un’immagine ”ritagliata sulla persona”, senza ricorrere a etichette nosografiche, del modo in cui essa attribuisce significato a se stessa e alle proprie esperienze del presente, come effetto ricorsivo dell’insieme delle esperienze della sua storia passata. Un’immagine ipotetica, da considerare sempre approssimativa e preliminare, utile al terapeuta per spiegarsi i processi di genesi e mantenimento del disturbo e per farsi un’idea sul modo migliore di porsi nella relazione col paziente, fin dai primi momenti, in funzione dei suoi bisogni e delle sue potenzialità di cambiamento.
Procedure flessibili, non tecniche standardizzate
Il processo terapeutico, nell’ottica costruttivista intersoggettiva, richiede la partecipazione attiva di entrambi i membri della relazione. Anche per questa ragione, non si utilizzano tecniche standardizzate ma si dispone di un insieme di procedure relazionali, conversazionali, immaginative, esperienziali, chiaramente definite rispetto ai criteri di utilizzazione, che devono essere calate e adattate alle situazioni e agli specifici momenti della relazione, con il progredire del processo terapeutico
La relazione terapeutica come strumento principale del cambiamento
È proprio la relazione terapeutica a essere considerata il principale strumento del cambiamento.
Essa diviene il luogo nel quale è possibile co-creare le condizioni per esperienze intersoggettive nuove e diverse rispetto a quelle che il paziente ha vissuto con le sue figure di attaccamento. Uno spazio nel quale può permettersi di condividere e riappropriarsi di ciò che nella sua esperienza non ha sentito di poter sentire insieme a un altro che le sentisse con lui; uno spazio nel quale ogni sua parte possa trovare accoglienza, essere riconosciuta accettabile e parte di sé nella propria interezza.